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Intervista di Alessandra Anzivino

Nella città di cemento di Roberto Valentini è uscito in questi giorni in libreria edito da Todaro editore. L’autore ci racconta come è nata questa nuova storia e che risvolti sociali e novità narrative proponga al lettore. Più di una semplice intervista, questa chiacchierata informale si prefigge di aprire un dibattito con i lettori, perché possano esprimere le loro considerazioni e perché no i loro preziosi suggerimenti.

Carlo Castelli ha una dualità che affascina il lettore: raffinato e responsabile nella gestione della sua quotidianità e cane sciolto implacabile quando ci sono dei misteri da svelare, in questo nuovo romanzo quale delle sue due anime è in primo piano?

Non ho dato la preponderanza a una parte rispetto all’altra, credo. Il mio intento era che si completassero a vicenda creando un personaggio verosimile, con uno spessore, non una sagoma coincidente con la funzione. Il mio è un personaggio è tutto tondo, se così si può dire, con una vita privata e una quotidianità “normali”, che cerca di fare bene il suo lavoro di giornalista d’inchiesta. Nella letteratura giallo noir ci sono personaggi di ispettori e detective, anche di grande successo dove prevale la funzione investigativa su quella psicologica e umana. E’ una scelta narrativa, non di valore, sia ben chiaro, io amo moltissimo alcuni di questi personaggi. Per chi come me però tende a dare più rilevanza all’ambiente del delitto che al delitto stesso e la sua soluzione, dare corpo e peso a un personaggio è una scelta quasi obbligata. Tant’è che Castelli non è fisso e immobile nel tempo, ma cambia e invecchia a ogni avventura. Non credo però che la sua sia una quotidianità “raffinata” o snob. Castelli vive in un ambiente che è il suo, alto borghese forse, visto che discende da una tradizione di giornalisti di successo e i suoi punti di riferimento esistenziali, il suo sistema di valori direi è quello della responsabilità e del chiamare le cose per nome senza fingere di essere ciò che non si è. E nel lavoro Castelli è implacabile e testardo perché sa che solo una cosa conta davvero: portare a casa il risultato, cioè nel suo caso, arrivare in fondo all’inchiesta.

Il tuo stile comprende dei momenti di "contemplazione", penso ad esempio alle tue memorabili descrizioni del rito di bere un bicchiere di vino, è una precisa scelta narrativa per dare modo al lettore di concedersi degli stacchi emotivi nella marcia di avvicinamento alla verità dei fatti?

Più che di stile si tratta di una scelta narrativa. Nei momenti di degustazione, il protagonista si ritrova con la parte migliore di sé, quella ancora capace di contemplare la bellezza simboleggiata appunto dal vino eccellente che si concede. In questi momenti di sospensione del racconto, la scrittura si “inspessisce” cercando più l’interiorità dei pensieri del protagonista che non allo svolgersi dell’azione. Sono sì una sorta di rallentamento del racconto che però nelle mie intenzioni serve a dare maggiore profondità.

La caratterizzazione dei tuoi personaggi appare sempre puntuale e sul filo dell'ironia, e presenta un ventaglio di meschinità quotidiane ricorrente che attraversa trasversalmente personaggi più o meno negativi, pensi che ignorare il male e quindi non impedirlo sia in qualche modo equiparabile al farlo?

Nella caratterizzazione dei personaggi negativi le meschinità sono quelle che tutti i giorni, più o meno, noi ci troviamo ad affrontare e che ahimè fanno quasi parte del carattere italiano di questi anni: più ignavia che cattiveria, più furbizia che malvagità. Certamente la connivenza con il male, il chiudere gli occhi o girarsi dall’altra parte per godere di un vantaggio equivale anche penalmente al crimine, seppur in misura minore.

In questo romanzo c'è un forte richiamo al problema delle morti sul lavoro, come hai condotto le ricerche per dare verosimiglianza alla storia che racconti?

Quando ho scritto il romanzo, nel 2007, il problema delle morti sul lavoro aveva raggiunto una specie di picco, un culmine di tre o quattro morti al giorno, che ha suscitato lo sdegno di gran parte dell’opinione pubblica e ricordo, l’intervento persino del Capo dello Stato. Ho letto di recente che a livello statistico le cose sono leggermente migliorate, ma la situazione è sempre drammatica. Solo in Emilia Romagna sono morte 13, ho letto, persone quest’anno, più di una al mese, e solo in una regione. Mi sono documentato sul sito dell’INAlL e dell’ANMIL “Associazione nazionale mutilati e invalidi sul lavoro” e su inchieste giornalistiche. Forse il motivo per cui questo tema della morti sul lavoro mi colpisce tanto è che alcuni anni fa assistetti di persona a uno di questi casi e ne rimasi turbato.Una sera stavo facendo jogging e correvo lungo il perimetro di un parco. Passai accanto a una palazzina dove un operaio stava compiendo dei lavori di ristrutturazione. Feci un giro, due e l’uomo, un muratore sulla cinquantina con un maglione di lana marrone, era sempre lì a scalpellare l’asfalto. Al terzo giro un capannello di persone attirò la mia attenzione e man mano che mi avvicinai vidi l’uomo sdraiato a terra, fulminato, mi dissero, da una scalpellata su un cavo elettrico sepolto inadeguatamente. Pur essendo ineliminabile (e non solo nelle professioni manuali, pensiamo ai giornalisti o ai poliziotti, che pure muoiono in servizio) morire così tanto sul lavoro mi sembra l’effetto di una visione del mondo distorta, dove non si cura alla qualità né del risultato finale né dei lavoratori, ma solo alla speculazione economica a sua volta causata da un massacrante gioco al ribasso, che è il peggior effetto della globalizzazione, oltre a una gestione camorristica di certi sistemi, soprattutto in edilizia (Roberto Saviano docet).

La caratterizzazione del territorio è un elemento che ti identifica, come si è trasformata la tua terra attraverso i tuoi romanzi?

Nei racconti di Castelli, il territorio è diviso in due. Da una parte, verso la pianura e Modena, c’è la città del lavoro e della lotta, con i suoi crimini e le sue meschinità. Dall’altra parte, verso sud, c’è invece il paesaggio idealizzato delle colline, rimaste intatte non per volontà, anzi per l’impossibilità idrogeologica di costruirvi sopra case e palazzi, se non in minima parte. Nei momenti di tensione, quando deve trovare il bandolo della matassa Castelli prende la moto e sale sulle colline, dove si perde come in un abbraccio materno. Nella città di cemento è uno sgambetto all’indifferenza diffusa, un forte richiamo ad opporsi ad un sistema di valori distratto e noncurante del malaffare diffuso. Roberto Valentini modella con esperienza il genere giallo/noir, ne estrapola la potenza evocativa e ricuce il tutto con un attenzione al quotidiano di rara lucidità. Un libro da leggere su più piani, gustandosi anche un linguaggio ricco e prezioso che esprime senza banalizzare sentimenti comuni e piccole storie che si elevano a universali per la loro valenza morale.

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